Delega di poteri

BIBLIOGRAFIA

La delega di poteri è l’atto con cui un’autorità politica investita di determinati poteri ne trasferisce l’esercizio, in tutto o in parte, ad un’altra autorità. Di conseguenza, i poteri del delegato sono precisamente quelli che appartenevano al delegante, e gli atti compiuti in virtù della delega hanno la stessa natura giuridica come se fossero stati compiuti dal delegante stesso. La delega non deve quindi essere considerata come un permesso o un’autorizzazione; è piuttosto un trasferimento di potere. Il problema fondamentale è allora quello di scoprire se, e in che misura, questo trasferimento è legittimo nell’ambito del diritto pubblico.

Quando la delega è prevista per legge non ci sono difficoltà. Questo è spesso il caso a livello amministrativo; il regolamento organizzativo di un ufficio autorizza il suo capo a girare l’esercizio dei suoi poteri ad un altro funzionario. Va notato, tuttavia, che anche quando la delega è autorizzata dalla legge esistente, è soggetta a condizioni molto precise. In primo luogo, il diritto di esercitare la delega non può essere presunto. Inoltre, le azioni per le quali il diritto di delega è concesso devono essere chiaramente indicate. Infine, la delega deve essere necessariamente limitata nel tempo.

In materia costituzionale, il problema è più delicato. Poiché si pone nelle relazioni tra i rami legislativi ed esecutivi del governo, ha implicazioni politiche che possono portare a deviazioni dalla stretta applicazione dei principi giuridici. In pratica si tratta di sapere se, in assenza di disposizioni costituzionali che autorizzino il legislatore (parlamento o congresso) a spogliarsi della sua competenza, si possa affidare all’esecutivo il diritto di adottare misure normative che abbiano forza di legge. Nei casi in cui la costituzione riserva alcuni settori alla competenza di un organo legislativo, la delega avrebbe l’effetto di realizzare un trasferimento di funzioni dal ramo legislativo a quello esecutivo; e in ogni caso, la delega realizzerebbe un trasferimento di poteri.

Critica. Teoricamente è impossibile delegare il potere legislativo (o qualsiasi altra prerogativa) dato da una costituzione a un legislatore. Questa posizione si basa sia su un argomento giuridico che su una considerazione di buon senso. Legalmente, si può delegare solo un potere che si possiede. Ma il potere di legiferare non è un diritto delle case legislative; è una funzione affidata loro da una costituzione, da esercitare e non da disporre a piacere. Il senso comune rafforza il principio giuridico. Locke è stato il primo a mostrare che quando il popolo, per mezzo di una costituzione, concede il potere di fare leggi ad una data agenzia, è perché ha fiducia in quell’agenzia. Sentono che il modo in cui l’agenzia è costituita e le procedure che deve seguire garantiranno che le regole fatte meritino obbedienza. “Il popolo”, scriveva Locke, “non può essere vincolato da nessuna legge se non da quelle emanate da coloro che ha scelto e autorizzato a fare leggi per lui” (Two Treatises of Government 1960, n, sec. 141).

In opposizione alla delega, si potrebbe anche invocare il principio della separazione dei poteri, dicendo che sarebbe violato se, sotto la copertura di un invito del parlamento, l’esecutivo potesse adottare misure che, per loro natura e oggetto, sono vere e proprie leggi. Infine, per coloro che, soprattutto in Francia, identificavano la democrazia con l’onnipotenza delle camere del potere legislativo, la delega avrebbe messo in pericolo l’idea stessa di democrazia, poiché da un lato appariva come un mezzo per imporre agli individui obblighi a cui i loro rappresentanti non avrebbero acconsentito; e dall’altro, rafforzando la portata delle azioni del governo, poteva essere giustamente sospettata di favorire le opinioni approvate dal governo.

Sviluppo storico. La forza teorica di questi argomenti che si oppongono al concetto di delega di potere non poteva prevalere sulle necessità reali che hanno costretto i governi a ricorrervi in quasi tutti i paesi. Queste necessità sono sorte in due ambiti, la guerra e la catastrofe economica, e in due ondate successive, la prima guerra mondiale e la depressione. La guerra del 1914-1918, quando l’asprezza della lotta comportò la mobilitazione di tutte le forze della nazione, rese necessaria la concentrazione di tutti i poteri nelle mani di un’agenzia capace di usarli prontamente. Siccome questa agenzia non poteva essere che l’esecutivo, a quest’ultimo fu concesso dai parlamenti il potere di regolare affari che in tempi normali avrebbero richiesto un voto legislativo. In Francia, le prime leggi che estendevano i poteri normativi del governo furono adottate il 3 e il 5 agosto 1914; esse riguardavano solo questioni di portata limitata. In seguito, sebbene leggi speciali avessero ampliato il potere d’azione del governo, esso promulgò, di sua iniziativa, misure chiamate decrets-lois, che propriamente appartenevano esclusivamente alla competenza del Parlamento.

In Inghilterra si è sempre ritenuto che, in assenza di una costituzione scritta, il Parlamento è sovrano e può quindi delegare ad un’agenzia di sua scelta una parte o la totalità della sua competenza legislativa. Tuttavia, sebbene tali casi di delega fossero noti da molto tempo (per esempio, con il Mutiny Act del 1717, il Parlamento trasferì alla corona tutta la regolamentazione della disciplina nell’esercito), essi rimasero eccezionali e, inoltre, non spossessarono completamente il Parlamento di tali poteri. In effetti, la pratica storica della legislazione delegata che era diventata abbastanza diffusa durante il diciannovesimo secolo si riduceva a questo: Il Parlamento stesso stabiliva i principi generali della regolamentazione; l’autorità subordinata aveva il potere di adattarli alle situazioni reali. Nel 1914 ci fu un cambiamento netto; il Defence of the Realm (Consolidation) Act dà al governo i più ampi poteri e introduce la legislazione di crisi nel quadro della legislazione delegata. Questa categoria di delega va molto più lontano, poiché non limita in alcun modo la libertà dell’esecutivo.

Negli Stati Uniti, il principio che il Congresso non può delegare i suoi poteri legislativi può essere modificato da un’interpretazione ampia della funzione del presidente. Si ammette che in un periodo di crisi o di guerra, il presidente può fare tutto ciò che è necessario per preservare l’Unione. Applicando questa idea, originariamente tenuta da Lincoln e Theodore Roosevelt, il presidente Wilson, durante la prima guerra mondiale, prese misure che normalmente sarebbero state di competenza del Congresso. Anche tra i neutrali, la crisi internazionale portò ad un trasferimento di poteri legislativi dal ramo legislativo a quello esecutivo. Così, in Svizzera, il 3 agosto 1914, l’assemblea federale concesse pieni poteri al consiglio federale.

Siccome il motivo dell’ampia delega di potere era la necessità della guerra, si sarebbe potuto pensare che la delega sarebbe finita con la fine della guerra. Non accadde nulla del genere. Dopo il conflitto, una nuova ondata di deleghe apparve, questa volta provocata da difficoltà economiche. In Francia, le emergenze finanziarie portarono i governi successivi a chiedere al parlamento il potere di legiferare per decreti; in Inghilterra, la legislazione delegata divenne una normale procedura governativa; in Svizzera, la crisi economica del 1930 portò a una nuova estensione dei poteri del consiglio federale. Negli Stati Uniti, il presidente Roosevelt ha fatto ricorso ai suoi poteri statutari, cioè quelli che un presidente ha in virtù di una delega espressa del Congresso, per regolare per ordine esecutivo materie che sono normalmente riservate alla legge formale. La tensione internazionale dal 1948 in poi ha portato i presidenti americani a intraprendere azioni simili.

Da allora è diventato impossibile considerare la delega del potere legislativo come un semplice espediente, legittimo solo per far fronte a una situazione di crisi. Il volume delle misure legislative prese dall’esecutivo in molti stati spesso supera il numero di leggi adottate dalle loro legislature. L’esperienza ha dimostrato che anche in condizioni normali gli organi legislativi non possono più rivendicare il monopolio della legislazione. Nello stato liberale ideale, il diritto di fare leggi è riservato esclusivamente ai rappresentanti nazionali, perché le leggi sono poche e molto generiche nel loro contenuto, essendo solo un’ultima risorsa destinata a contribuire a superare le inadeguatezze dell’ordine sociale. Ma la concezione moderna della democrazia richiede sempre più spesso l’intervento dello Stato. Il numero di norme necessarie e la loro natura tecnica rendono i legislatori sempre più incapaci di emanarle. Inoltre, l’esecutivo, essendo obbligato ad agire e ad agire rapidamente, non può più aspettare che il ramo legislativo decida se concedere al governo le leggi di cui ha bisogno per le sue politiche. I governi devono avere il potere di elaborare la politica generale e di emettere liberamente i regolamenti necessari per la sua attuazione.

Questi fatti furono riconosciuti in Inghilterra nel 1932 dal Comitato sui poteri dei ministri (Comitato Donough-more), che era incaricato di studiare la legalità della legislazione delegata. Negli Stati Uniti, questi fatti sono stati riconosciuti nel 1949 dalla Commissione sull’organizzazione del ramo esecutivo del governo (Commissione Hoover). In entrambi i paesi, è stato ritenuto che la legislazione dell’esecutivo non è incostituzionale finché lascia spazio al controllo a posteriori, sia da parte del parlamento (in Inghilterra) o dei tribunali (negli Stati Uniti). Questo controllo può effettivamente essere efficace, come è stato dimostrato nel 1952 dalla decisione della Corte Suprema che ha dichiarato incostituzionale il sequestro delle acciaierie da parte del presidente Truman. In Europa, alcune costituzioni redatte tra le due guerre concedevano all’esecutivo il diritto di legiferare per decreto in circostanze eccezionali (costituzione polacca del 23 aprile 1935, articoli 55 e 57; costituzione austriaca del 7 dicembre 1929, articolo 18; costituzione spagnola del 9 dicembre 1931, articolo 80; ecc.) Dopo la seconda guerra mondiale, la possibilità della delega del potere legislativo è stata espressamente riconosciuta dalla costituzione italiana (articolo 77) e dalla legge fondamentale della Repubblica federale tedesca (articolo 80). In Francia, invece, l’obbrobrio che l’uso dei decreti aveva gettato sul parlamento, accusato di sottrarsi alle sue responsabilità, portò gli autori della costituzione del 1946 a inserire, all’articolo 13, la regola che solo il parlamento fa legge. Di fatto, però, dal 1948 in poi, con procedure più o meno mascherate, tutti i governi della Quarta Repubblica chiesero al parlamento il potere di legiferare, e lo ottennero. La costituzione del 1958, prendendo atto di ciò che è diventato una necessità inevitabile in uno stato moderno, ha chiaramente incorporato la legislazione del ramo esecutivo. Non solo l’esecutivo, in virtù dell’articolo 37, può legiferare per decreto su qualsiasi materia non riservata al Parlamento dall’articolo 34, ma l’articolo 38 gli dà il potere di chiedere alle camere del Parlamento una delega per legiferare anche su quelle materie che sono riservate al Parlamento.

G. Burdeau

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