Self-Surrender

SELF-SURRENDER

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La lotta tra gli impulsi umani naturali di ricerca di sé, autodifesa e simili, da un lato, e l’impulso più altruistico verso l’abnegazione, la resa di sé, dall’altro, è vecchia come la razza. Tutte le religioni implicano una qualche concezione della resa di sé alla divinità, che va, in termini di qualità etica, da un fanatismo pagano che spinge al completo esaurimento fisico o al rapimento, indotto da mezzi più o meno meccanici, all’alta qualità spirituale del sacrificio di sé per gli scopi e le realizzazioni più divine. Le Scritture rappresentano l’abbandono di sé come una delle più nobili virtù umane.

I. Nell’Antico Testamento.

1. Esempi illustri:

Nell’Antico Testamento l’abbandono di sé è insegnato nel primo racconto della prima coppia. Ognuno doveva essere dato all’altro (Genesi 2:24; 3:16) ed entrambi dovevano essere consegnati a Dio in perfetta obbedienza (Genesi 3:1-15). I fedeli, in tutti i racconti della Bibbia, erano caratterizzati dalla resa di sé. Abramo abbandona gli amici e il paese natale per andare in una terra a lui sconosciuta, perché Dio lo ha chiamato a farlo (Genesi 12:1). Rinuncerà a tutte le sue care speranze nel suo unico figlio Isacco, alla voce di Dio (Genesi 22:1-18). Mosè, alla chiamata di Jahvè, rinuncia a se stesso e intraprende la liberazione dei suoi compagni ebrei (Esodo 3:1-4:13; confronta Ebrei 11:25). Egli sarebbe stato cancellato dal libro di Dio, se solo il popolo fosse stato risparmiato dalla distruzione (Esodo 32:32).

2. Il sistema levitico:

Si può dire che l’intero sistema levitico di sacrificio implichi la dottrina della resa di sé. La nazione stessa era un popolo riservato a Yahweh, un popolo santo, una nazione arresa (Esodo 19:5,6; 22:31; Levitico 20:7; Deuteronomio 7:6; 14:2). L’intero olocausto implicava la completa resa dell’adoratore a Dio (Levitico 1). La cerimonia per la consacrazione dei sacerdoti enfatizzava la stessa dottrina fondamentale (Levitico 8); così anche la legge sulla resa del primogenito (Esodo 13:13; 22:29).

3. I profeti:

Nella chiamata divina ai profeti e nel loro lavoro di vita l’auto-consegna è preminente. Il veggente, come tale, deve essere ricettivo all’impronta divina, e come portavoce di Dio, deve dire non le sue parole, ma quelle di Dio:

“Così dice il Signore”. Doveva essere un “uomo di Dio”, un “uomo dello spirito”. La mano del Signore era su di me” (Ezechiele 1:3; 3:14) implica una completa padronanza divina. Isaia deve sottomettersi alla purificazione divina delle sue labbra e ascoltare la domanda: “Chi andrà per noi?” con la risposta arrendevole: “Eccomi, mandami” (Isaia 6:8). Geremia deve cedere le sue proteste di debolezza e incapacità alla saggezza divina e alla promessa di un dono dall’alto (Geremia 1:1-10). Ezechiele si arrende al pericoloso e difficile compito di diventare messaggero di una casa ribelle (Ezechiele 2:1-3:3). Giona, dopo la fuga dal dovere, alla fine si arrende alla volontà divina e va dai Niniviti (Giona 3:3).

4. Esempi post-esilici:

Al ritorno del resto fedele dalla cattività, il dono di sé per il bene della fede di Israele era dominante, il popolo sopportando grandi difficoltà per il futuro della nazione e il compimento degli scopi di Yahweh. Questo è lo spirito del grande passo messianico, Isaia 53:7:

“Egli fu oppresso, ma quando fu afflitto non aprì la sua bocca; come un agnello che viene condotto al macello e come una pecora che davanti ai suoi tosatori è muta, così egli non aprì la sua bocca”. Neemia rinunciò alla sua posizione a Shushan per aiutare a ristabilire gli esuli ritornati a Gerusalemme (Neemia 2:5). Ester era pronta a rinunciare alla sua vita nel supplicare per la sicurezza del suo popolo (Ester 4:16).

II. Nel Nuovo Testamento.

1. L’insegnamento e l’esempio di Cristo:

Nel Nuovo Testamento l’auto-abbandono è esposto ancora più chiaramente. Gli insegnamenti e l’esempio di Cristo, presentati nei Vangeli, gli danno un’enfasi speciale. È un requisito primario per diventare Suo discepolo (Matteo 10:38; 16:24; Luca 9:23,24,59; 14:27,33; confronta Matteo 19:27; Marco 8:34). Quando alcuni dei discepoli furono chiamati, lasciarono tutto e seguirono (Matteo 4:20; 9:9; Marco 2:14; Luca 5:27). I suoi seguaci devono abbandonare così completamente se stessi, che il padre, la madre, i parenti e la propria vita devono essere, per così dire, odiati per amor Suo (Luca 14:26). Il giovane ricco deve rinunciare a se stesso come fine e dare la propria vita al servizio degli uomini (Matteo 19:21; Marco 10:21; confronta Luca 12:33). Ma questo abbandono di sé non fu mai una perdita della personalità; fu il ritrovamento della vera identità (Marco 8:35; Matteo 10:39). il nostro Signore non solo insegnò l’abbandono di sé, ma lo praticò. Da bambino, Egli si sottomise ai Suoi genitori (Luca 2:51). La resa di sé segnò il Suo battesimo e la tentazione (Matteo 3:15; 4:1). È mostrato nella Sua vita di privazioni fisiche (Matteo 8:20). Non era venuto per fare la Sua propria volontà, ma quella dei Padri (Giovanni 4:34; 5:30; 6:38). Egli rifiuta di usare la forza per la Sua propria liberazione (Matteo 26:53; Giovanni 18:11). Nella sua persona deve essere fatta la volontà di Dio, non la sua (Matteo 26:29; Luca 22:42); e al Padre ha infine consegnato il suo spirito (Luca 23:46). Così, pur non essendo un asceta, e non pretendendo l’ascetismo dai suoi seguaci, Egli “svuotò se stesso …. facendosi obbediente fino alla morte, sì, fino alla morte di croce” (Filippesi 2:7).

Vedi KENOSIS.

2. Ac degli apostoli:

I primi discepoli praticarono la virtù dell’abbandono di sé. Non contando nessuno dei loro beni come proprio, essi davano per il bene di tutti (Atti 2:44,45; 4:34,35,37). Stefano e altri si gettarono nella loro testimonianza con il perfetto abbandono del martire; e il successore di Stefano, Paolo, non considerò cara la sua vita per finire il corso divinamente designato (Atti 20:22-24).

3. Lettere di Paolo:

Le Lettere sono permeate della dottrina dell’abbandono. Le Lettere di Paolo ne sono particolarmente piene. La vita cristiana è concepita come un morire a se stessi e al mondo – un morire con Cristo, una crocifissione dell’uomo vecchio, affinché un uomo nuovo possa vivere (Galati 2:20; 6:14; Colossesi 2:20; 3:3; Romani 6:6), così che non è più l’uomo a vivere ma Cristo vive in lui (Galati 2:20; Filippesi 1:21). Il cristiano non è più suo, ma di Cristo (1 Corinzi 6:19,20). Egli deve essere un sacrificio vivente (Romani 12:1); morire ogni giorno (1 Corinzi 15:31). Come corollario all’abbandono a Dio, il cristiano deve abbandonarsi al benessere del suo prossimo, proprio come Cristo non si è compiaciuto di se stesso (Romani 15:3); anche ai capi (1 Corinzi 16:16), e ai governanti terreni (Romani 13:1).

4. Epistole di Pietro:

Nelle Epistole di Pietro viene insegnato più di una volta l’abbandono di sé. Quelli che un tempo erano come pecore smarrite, ora si sottomettono alla guida del Pastore delle anime (1 Pietro 2:25). Il cristiano deve umiliarsi sotto la potente mano di Dio (1 Pietro 5:6); il più giovane deve essere soggetto al più anziano (1 Pietro 5:5); e tutti alle ordinanze civili per amore del Signore (1 Pietro 2:13).

Così anche in altre epistole, il cristiano deve sottomettersi a Dio (Giacomo 4:7; Ebrei 12:9).

Edward Bagby Pollard

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