Confronto, metodo comparativo, studi comparativi
Cosa intendiamo quando parliamo di un atto di confronto? Nel linguaggio quotidiano, seguendo una definizione classica del dizionario19 , la comparazione si presenta come l’atto di osservare due o più cose per scoprire le loro relazioni o per stimare le loro differenze e somiglianze. Nel linguaggio epistemologico, si definisce come un’operazione intellettuale attraverso la quale si verificano gli stati di uno (o più) oggetti sulla base di almeno una proprietà comune (Fedeli, 1998; Marradi, 1991). Quindi, dal punto di vista logico, un atto di confronto implica: gli oggetti (che ovviamente possono essere soggetti, gruppi, istituzioni, città, paesi ecc.), almeno una proprietà degli oggetti, lo stato degli oggetti in questa proprietà20 e il momento in cui sono stati sollevati21.
Nella scienza, il confronto può essere utilizzato per vari scopi. Le posizioni epistemologiche tradizionali, anche i richiami standard (Mulkay, 1979; Outhwaite, 1987), enfatizzano il ruolo del confronto nella formulazione e nella verifica delle ipotesi e, in senso più ampio, nella produzione di conoscenza nomotetica. In questo contesto, l’enfasi della comparazione cade sulle proprietà (variabili), il che non sorprende, considerando la centralità che per queste posizioni acquisisce l’assunto galileiano secondo il quale la scienza deve stabilire relazioni (matematica) tra le proprietà degli oggetti (Marradi; Archenti; Piovani, 2007).
L’uso della comparazione a fini nomotetici è molto diffuso nelle scienze naturali, soprattutto nella progettazione, pratica e analisi degli esperimenti. Ma ha importanza anche nelle scienze sociali, soprattutto nell’ambito di quegli orientamenti che hanno promosso lo sviluppo di sofisticate tecniche statistiche che permettono di determinare le relazioni empiriche tra proprietà osservabili. In prospettiva storica, questi sviluppi metodologici e tecnici potrebbero essere pensati, in qualche modo, come un tentativo di salvaguardare l’assunto galileiano relativo ai fini conoscitivi della scienza anche in quelle situazioni in cui il metodo che meglio lo realizza – l’esperimento – diventa impraticabile22 (Piovani, 2006)23.
Nel caso delle scienze sociali, l’impossibilità di accettare, o rifiutare, gli assunti delle concezioni tradizionali della scienza ha dato origine a una serie di prospettive in cui la comparazione viene utilizzata a fini piuttosto ideografici o interpretativi. L’accento è quindi posto sugli oggetti stessi della comparazione, e non tanto sulle proprietà.
Si potrebbe stabilire un certo parallelismo tra queste due forme di confronto – centrate sulle proprietà o sugli oggetti – con la classica distinzione tra metodi quantitativi e qualitativi della ricerca sociale: gli approcci comparativi che enfatizzano le proprietà sono generalmente inscritti in un orientamento quantitativo e quelli che mettono l’accento sugli oggetti in un orientamento qualitativo. Tuttavia, bisogna anche notare che, in linea con gli attuali richiami all’integrazione con gli stili investigativi e alla triangolazione metodologica, Ragin24 propone una strategia di ricerca comparativa che stabilisce un dialogo tra variabili e casi.
Al di là delle differenze che la comparazione può acquisire nel lavoro scientifico, dal punto di vista epistemologico (orientamento nomotetico o ideografico; input di spiegazione o interpretazione) e metodologico (utilizzo nel quadro di approcci quantitativi o qualitativi) finora abbiamo fatto riferimento alla comparazione in un senso relativamente generale. Se pensiamo invece in termini metodici e procedurali, le considerazioni precedenti sono insufficienti, soprattutto se si intende utilizzare la comparazione come criterio per definire e delimitare una particolare strategia metodica che abbia una certa autonomia nell’insieme dei metodi riconosciuti e praticati dalla comunità scientifica.
Questo implicherebbe trascendere il confronto come singolo atto di conoscenza e riconoscere che un’indagine comprende un insieme complesso e articolato di decisioni e pratiche che vengono condotte in modo ragionevolmente sistematizzato e organizzato. In questo senso, le proposte che enfatizzano la comparazione con lo status di metodo scientifico acquistano rilevanza, specificamente nel contesto delle scienze sociali.
L’espressione metodo comparativo si è diffusa con forza a partire dagli anni 60. Una delle formulazioni più chiare di questa posizione è quella del politologo olandese Arend Lijphart (1971)25. Il suo punto di partenza è una concezione secondo la quale l’attività scientifica cerca di stabilire “relazioni empiriche generali tra due o più variabili, controllando, mantenendo costanti, tutte le altre” (Lijphart, 1971, p. 70). Seguendo Smelser (1967), Lijphart considera la comparazione come un metodo di controllo empirico delle ipotesi che la distingue da altri tre metodi scientifici: sperimentale, statistico e dei casi. La loro classificazione comporta un’organizzazione gerarchica secondo il grado di efficacia relativa di ogni metodo per il controllo empirico delle ipotesi (Fedeli, 1998). Nello schema proposto, il metodo comparativo occupa il terzo posto, dopo il metodo statistico e prima degli studi di caso.
Prima di procedere con la discussione sul metodo comparativo, su cui torneremo tra poco, bisogna notare che la classificazione proposta da Lijphart presenta seri limiti. In primo luogo, da un punto di vista epistemologico sembra troppo restrittivo determinare alla scienza un ruolo unico, definito in termini di stabilimento di relazioni empiriche generali tra due o più variabili. L’assunto galileiano sui fini della scienza, a cui si è già fatto riferimento, opera in modo straordinariamente esplicito26.
In secondo luogo, se si tratta di stabilire relazioni tra variabili, allora bisogna ammettere che il confronto gioca un ruolo fondamentale in qualsiasi procedura utilizzata a questo scopo. Per stabilire empiricamente relazioni tra variabili, è necessario determinare gli stati dell’oggetto studiato in queste variabili, e questo non può essere raggiunto senza ricorrere al confronto, indipendentemente dal fatto che la determinazione dello stato sia fatta nel quadro di una procedura che permette di identificare la direzione causale della relazione – come l’esperimento – o che si limiti a determinare la correlazione o l’associazione dall’analisi statistica di una matrice di dati.
L’analisi statistica, invece, che sembra un po’ eccessivo presentare di per sé come uno dei metodi della scienza, si basa su quella che Marradi (1977) chiama assunzione atomistica, che tra l’altro comporta la considerazione del dato indipendentemente dall’oggetto a cui si riferisce. Questo permette di costruire distribuzioni di frequenza dei valori di una data variabile e, a partire da questo, di stabilire l’associazione di relazioni tra due o più variabili. In questa operazione, il confronto occupa un posto preponderante, così come nell’esperimento, in cui si manipola una variabile e se ne monitorano altre per valutare l’effetto reale di quella considerata indipendente dalla verifica degli stati in due momenti (prima e dopo una manipolazione, per esempio), o le differenze tra un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo. Qualunque sia il disegno sperimentale, il ricorso al confronto è inevitabile. Infine, sembra legittimo dire che uno studio di caso non può essere sviluppato senza confronti. Nella peggiore delle situazioni, lo studio dei cambiamenti del caso osservato nel tempo comporterà qualche forma di confronto. Probabilmente l’unica differenza importante è che, il più delle volte, lo studio di un caso non implica confronti tendenti alla costruzione di conoscenza nomotetica, come nell’esperimento o nelle analisi statistiche (almeno nella sua variante più classica). Sulla base di queste revisioni, molti autori sostengono che non ha senso proporre un metodo comparativo:
La comparazione ha un ruolo fondamentale nella sperimentazione delle scienze fisiche come nei disegni quasi sperimentali utilizzati nelle scienze umane. L’analisi statistica è fatta principalmente sulla base di confronti; viene inevitabilmente confrontata anche nei casi studio (Fedeli, 1998, p. 11-12).
Ma la critica ha implicazioni ancora più ampie, se si ricorre così spesso al confronto e se come attività cognitiva è presente in tutte le forme di ricerca: Che senso potrebbe avere parlare non solo di metodo comparativo, ma addirittura di ricerca comparativa? In effetti, la pluralità delle forme che si possono confrontare e gli scopi con cui si possono confrontare hanno portato all’affermazione che tutta l’attività scientifica dovrebbe essere considerata come comparativa (Swanson, 1971).
Tuttavia, la comparazione non ha lo stesso posto in tutte le indagini, anche se la sua presenza è comunque inevitabile. Infatti, è possibile individuare studi in cui l’obiettivo cognitivo implica un confronto esplicito e consapevole, secondo Sartori27. In questi casi, il disegno di ricerca è attraversato in tutte le sue dimensioni e sfaccettature dall’obiettivo centrale della comparazione, e questo richiede un supporto teorico che conferisca significato e guidi il confronto sistematico di alcune unità su alcune proprietà, così come decisioni metodologiche e strumenti tecnici che lo rendano operativo. Non stiamo parlando di un metodo in senso stretto, ma di un tipo di ricerca.
In questa stessa linea Fideli (1998, p. 12) afferma che “criticare la proposta di Lijphart non significa negare la pertinenza delle pratiche di ricerca che vengono solitamente etichettate con l’etichetta di metodo comparativo”, soprattutto quando si riferisce ad alcuni stili specifici di ricerca sociale considerati globalmente, in cui si confrontano strutture o sistemi complessi (linguistici, culturali, istituzionali, sociali, politici, educativi ecc.) sulla base dei loro stati nelle proprietà globali (per esempio: il grado di differenziazione strutturale, il grado di stabilità politica ecc.), o che usano dati che si riferiscono a diverse società, culture o nazioni, o anche a unità subnazionali.
Inoltre, questo tipo di ricerca ha raggiunto un alto grado di specificità e istituzionalizzazione in molte scienze sociali. Come esempio, l’educazione comparativa, la cui storia risale all’inizio del XX secolo nei paesi centrali, principalmente negli Stati Uniti d’America, dove già nel 1899 e 1900 fu offerto un corso universitario pioniere su questo tema. Questo processo di istituzionalizzazione degli studi comparati in educazione si intensificò alla fine della seconda guerra mondiale, quando emersero le politiche di cooperazione internazionale e, con esse, le prime agenzie mondiali di educazione (ONU, ufficio internazionale dell’educazione di Ginevra) (Goergen, 1991).
Durante la seconda metà del XX secolo, nel quadro del processo di ricostruzione internazionale del capitalismo democratico, concepito sulla base della teoria dello sviluppo, l’educazione comparativa ha vissuto un momento senza precedenti, concentrandosi sul confronto tra le caratteristiche dei sistemi educativi dei diversi paesi, con l’obiettivo di fornire elementi per la formulazione e l’attuazione di politiche di sviluppo educativo nei paesi periferici28.
Questo notevole grado di istituzionalizzazione della ricerca comparativa ha anche alimentato i dibattiti sul suo status, ben al di là delle questioni metodologiche che, come precedentemente notato, costituiscono un criterio di demarcazione relativamente classico, e da cui si è sviluppata l’idea del metodo comparativo. In questo senso, e come in altre scienze sociali, è abituale trovare nella ricerca comparata in educazione posizioni che la definiscono come una disciplina (per esempio Heath (1958)), mentre altri, come Phillips e Schweisfurth (2014), sostengono che non sarebbe una disciplina in senso stretto, ma una quasi-disciplina. Chávez Rodríguez (2008), invece, la considera una scienza. Arnove (1980), Cowen (1996), Rust et al. (1999) e Bray, Adamson e Mason (2014), tra molti altri, la considerano un campo di studio.
E’ al di là dello scopo di questo articolo approfondire queste discussioni in relazione allo status degli studi comparativi, sia che costituiscano sottodiscipline, campi, sottocampi o specialità. Ma è evidente, e non può non essere menzionata, la presenza di alcuni elementi che la letteratura di solito enfatizza quando caratterizza un’area o un campo di conoscenza nei termini contraffatti: un gruppo di ricercatori che si identificano come specialisti dell’area; soggetti a livello di grado, seminari di programmi di laurea e anche di laurea; reti di scambio e associazioni accademiche e professionali; congressi nazionali e internazionali, riviste accademiche specializzate ecc.
Se si considera esclusivamente il campo educativo ibero-americano, è possibile indicare l’esistenza di associazioni nazionali (per esempio: Sociedad Argentina de Estudios Comparados en Educación (SAECE), Sociedad Española de Educación Comparada (SEEC), Sociedad Mexicana de Educación Comparada (SOMEC) Sociedade Brasileira de Educação Comparada (SBEC), tra le altre), che a loro volta si raggruppano nel World Council of Comparative Education Societies. Allo stesso modo, vengono organizzati regolarmente congressi nazionali e internazionali e riviste come la Revista Latinoamericana de Educación Comparada o la Revista Española de Educación Comparada. A tutto questo si deve aggiungere la proliferazione della letteratura specializzata, impossibile da citare in modo esaustivo, che copre questioni come la stessa definizione del campo dell’educazione comparata e la discussione degli approcci teorici e metodologici, attraverso le migliaia di studi che riportano o analizzano i risultati della ricerca empirica. D’altra parte, è significativa anche la presenza dell’educazione comparata nelle istituzioni ufficiali (per esempio, i Ministeri dell’Educazione), le organizzazioni multilaterali come l’UNESCO, che si sono preoccupate di promuoverla, i think tank di orientamenti politici e ideologici molto diversi.
Molte di queste indagini, principalmente quelle della Banca Mondiale, cercano di legittimare l’uniformità delle agende educative in America Latina attraverso l’omogeneità della diagnosi dei rispettivi sistemi educativi. Queste stesse agende sono state addirittura esportate in altre regioni, come l’Africa. Si tratta di studi che ritornano alla prospettiva funzionalista dell’Educazione Comparata degli anni 50, principalmente negli Stati Uniti d’America29 (Rosar; Krawczyk, 2001). Così, le organizzazioni internazionali furono importanti induttori delle riforme educative realizzate in questo periodo in America Latina, ma anche nella produzione di conoscenza come dispositivo di regolazione e di governo (Nóvoa, 1995).
In termini metodologici, va notato che gli studi comparativi non si limitano a una strategia particolare. In generale sono più frequenti, o almeno hanno più diffusione (probabilmente perché sono promossi da organizzazioni internazionali) le ricerche incentrate sull’analisi secondaria dei dati statistici. Ma questi confronti statistici si fanno anche a partire da dati primari, nell’ambito di studi che comprendono la progettazione di strumenti di indagine e di campioni, così come il lavoro sul campo e la sistematizzazione e l’analisi dei dati30. Tuttavia, questa maggiore visibilità dei confronti basati sulle statistiche nazionali non implica che non ci siano ricerche comparative che utilizzano metodologie diverse, anche qualitative, come storie di vita o studi di caso. Nel campo dell’educazione comparata, per esempio, nel 1979, Stenhouse ha sollevato l’importanza di utilizzare studi di caso per contribuire alla comprensione del fenomeno educativo (Crossley; Vulliamy, 1984).
Per quanto riguarda la ricerca che fa parte della tradizione critica latinoamericana nelle scienze sociali, si può sottolineare che si distanzia dall’approccio comparativo per la sua forte associazione con il paradigma positivista e con la politica imperialista di sviluppo. Di conseguenza, le produzioni accademiche della tradizione critica con analisi comparativa sono state praticamente inesistenti, almeno fino agli albori del XXI secolo.
Al di là delle soluzioni metodologiche adottate in ogni situazione, si è sostenuto che l’esistenza di una dissomiglianza di ambienti potrebbe essere considerata una condizione necessaria perché un’indagine possa essere definita comparativa. In questo senso, diventa rilevante ciò che Fideli (1998) denomina cross-contextual comparison31, che racchiude due forme di ricerca comparativa più canoniche e diffuse nelle scienze sociali: gli studi cross-nazionali e gli studi cross-culturali, di cui si parlerà più avanti.