Patrona delle arti
L’impatto duraturo della vita di Giulio II derivava dal suo dono di ispirare grandi creazioni artistiche. Il suo nome è strettamente legato a quello di grandi artisti come Bramante, Raffaello e Michelangelo. Con la sua ricchezza di idee visionarie, ha contribuito alla loro creatività. Seguendo un piano generale, aggiunse molti begli edifici a Roma e gettò le basi nei Musei Vaticani per la più grande collezione di antichità del mondo. Tra le innumerevoli chiese italiane che beneficiarono del suo incoraggiamento alle arti vi fu Sta. Maria del Popolo a Roma, per la quale commissionò ad Andrea Sansovino i sepolcri per alcuni cardinali e a Pinturicchio gli affreschi dell’abside. Donato Bramante divenne l’architetto delle fortificazioni di Giulio nel Lazio, delle due gallerie che formano la Corte del Belvedere e di altri edifici vaticani. Intorno al 1503 il Papa concepì l’idea di costruire una nuova basilica di San Pietro, il cui primo modello fu creato da Bramante. La sua prima pietra fu posta il 18 aprile 1506.
L’amicizia del Papa con Michelangelo, iniziata nel 1506, fu duratura nonostante le ricorrenti tensioni imposte ai loro rapporti dalle due personalità troppo simili. Il loro rapporto era così stretto che il Papa divenne, di fatto, il collaboratore intellettuale di Michelangelo. Della tomba di Giulio fu completato solo il “Mosè” nella chiesa di S. Pietro in Vincoli, a Roma; il Papa però non è sepolto lì ma in San Pietro, insieme ai resti di Sisto IV. La famosa statua di bronzo del Papa per la chiesa di S. Petronio a Bologna, completata nel 1508, fu distrutta nel 1511. Nel 1508 Michelangelo fu convinto da Giulio a iniziare i suoi dipinti sul soffitto della Cappella Sistina, che furono svelati nell’ottobre 1512. I dipinti, che rappresentano il culmine dell’arte occidentale, erano, nella forma e nella concezione, un prodotto della simbiosi artistica di Michelangelo e del Papa.
Nel 1509 Raffaello, presentato a Giulio, aveva iniziato i suoi capolavori per il Papa, gli affreschi in tre stanze del Vaticano. I riferimenti spirituali alla persona e al pontificato di Giulio II sono evidenti in una delle stanze (la Stanza della Segnatura), dove la saggezza terrena e celeste sono giustapposte nella “Scuola di Atene” e nella “Disputa”, mentre la bellezza della creatività è rappresentata nel “Parnaso”. Il tema di un’altra stanza (la Stanza d’Eliodoro), che potrebbe essere definita una biografia “politica” trascendentale del Papa, è ancora più personale. La “Cacciata di Eliodoro dal Tempio” simboleggia la cacciata dei francesi e la sottomissione di tutti i nemici della chiesa, con Giulio II raffigurato mentre assiste alla scena dal suo trono portatile. Strettamente collegata a questa è la “Liberazione di San Pietro”, in cui la luce e le tenebre servono a simboleggiare gli eventi storici del pontificato. Il terzo grande affresco in questa stanza, la “Messa di Bolsena”, mostra il Papa inginocchiato, piuttosto che in trono, in commemorazione della sua venerazione del corporale di Bolsena nella cattedrale di Orvieto. Oltre a questi ritratti ad affresco, ce n’è uno di Raffaello nella galleria degli Uffizi a Firenze, uno dei capolavori della ritrattistica, che mostra il Papa non come il Mosè vittorioso che balza in piedi, come lo ritrasse Michelangelo, ma come un vecchio rassegnato e pensoso alla fine di una vita avventurosa e travagliata. Il disegno a gesso di Michelangelo del Papa nella galleria degli Uffizi gli si avvicina per qualità.
Come cardinale, Giulio II ebbe almeno una figlia illegittima, Felice. Fece cardinali quattro membri della famiglia Della Rovere, solo uno dei quali raggiunse una certa importanza. Dal matrimonio dell’unico fratello del Papa, Giovanni, con la figlia ed erede del duca Federigo di Montefeltro discesero i duchi di Urbino.
Il Papa aggiunse saggiamente ai tesori della Chiesa. Sebbene avesse poco del prete in sé, verso la fine si preoccupò solo della grandezza della chiesa. Desiderava la grandezza del papato piuttosto che del papa, e desiderava la pace in Italia. Lo storico svizzero Jacob Burckhardt lo definì il “salvatore del papato”, perché Alessandro VI aveva messo in grave pericolo la sua esistenza per il bene dei suoi interessi familiari.