Negli ultimi anni, Monet dipinse le Ninfee, van Gogh scoprì il Fiore del sole e Matisse inventò i ritagli di carta. In tutti i casi, all’epoca si pensava che ci fosse qualcosa di piuttosto infantile in queste ultime opere. La spinta di Picasso verso l’estremo era altrettanto forte di quella di Monet o Matisse. Nei suoi ultimi quattro anni, creò più che in qualsiasi altro periodo comparabile della sua vita. Il suo istinto di vita divenne l’impulso a dipingere. La cruda incompletezza delle sue forme faceva uso di una paletta quasi infantile: rosa e azzurro pallido mescolati a sfumature lattiginose tra il beige e l’ocra, e poi ancora, colori puri direttamente dal secchio, applicati con un pennello largo.
E’ notevole fino a che punto Picasso abbandona il suo senso del colore, si fa beffe della cultura della sua tavolozza, ed esige l’articolazione e la posizione più grossolana delle sue figure. Membra deformate del corpo forme amorfe, nasi schiacciati piatti e caricaturali, occhi e mani buffonesche segnano l’animalità dei suoi vigorosi mezzibusti. Primitivi ma ineguagliabili, questi dipinti sono superiori ai loro discendenti espressivi di oggi. Assomigliando ai membri di una troupe burlesca, esigono l’attenzione di tutti. Quale pittore non ha approfittato di questo, che ha contribuito ad ogni forma di espressione del nostro secolo? Jackson Pollock, Willem de Kooning – in confronto a queste creazioni arcaiche, le loro sembrano senza dubbio brillanti, ma anche quasi compiacenti. E l’apprezzamento estetico li ha abbracciati, e da tempo ha dato a ciascuno il suo posto unico nella storia dell’arte.
Picasso, che ha creato tanto, alla fine ha reclamato ciò che gli spettava. Ha raccolto così tanto dai suoi figli, che ogni tanto sembra divorarli orgiasticamente. Non è la pittura terrificante di Goya che viene in mente, ma piuttosto quella di un Gargantua, che consuma insaziabilmente la vita per ottenere i materiali necessari a ospitare le sue creature.
Tuttavia, non attingeva solo a quegli impulsi che lui stesso aveva creato. Nella sua vecchiaia, si è concesso una libertà che, alla fine della sua vita, non ha cercato di giustificare. Vide accanto a sé il compagno fantasma, che il 14 aprile 1972 riconobbe come Il giovane pittore, con il viso rotondo e i contorni morbidi di una bambola. Gli occhi a bottone e il cappello esotico a tesa larga, la mano dimostrativamente alzata con il pennello sottile non nascondono che questo ritratto mostra l’antico pittore dai tratti infantili. La tenerezza e l’incertezza dell’espressione del viso danno al ritratto una qualità di isolamento spettrale, che rivendica come parallelo le opere successive di Francisco Goya.
Giovane pittore, 1971
In un impietoso confronto con lo specchio, il 30 giugno 1972, Picasso si guardò ancora una volta in faccia. In quell’immagine riflessa vide, con occhi spalancati, la morte. Per questo disegno ha usato gessetti dello stesso blu, malva e nero che aveva impiegato trent’anni prima in una natura morta con teschio di mucca, creata dopo essere stato stordito dalla notizia della morte del suo amico e connazionale Julio Gonzalez. Ora Picasso stava preparando il proprio cranio per un simile evento, e lo fissava con immobile intensità.
Questo volto si ferma alla frontiera che separa la vita dalla morte. Nient’altro si esprime nei lineamenti, che nella loro rigidità rivelano l’estrema ricettività degli occhi. E non c’è dubbio che questi occhi siano quelli di Picasso.
Anche sotto altri aspetti il ritratto si trova a un bivio. Poche settimane prima il pittore aveva completato la serie di 201 dipinti che sarebbero stati la sua ultima “auvre”. L’isolamento delle figure, che appaiono qua e là a due o a tre, era la sua costante caratteristica identificativa. Con tratti ampi e spericolati, Picasso aveva delineato queste creature e in ogni caso le aveva inserite in un formato adatto. La robusta forza motrice dello stile pittorico corrisponde all’aspetto delle figure archetipiche ivi raffigurate. Anche la testa del pittore è disegnata con questo spirito, che si estende nella sfera dell’arte grafica che occupò Picasso nei mesi successivi.
Nei suoi ultimi anni, Picasso si allontana dalla pittura, si muove in direzione opposta, verso l’acquaforte e le incisioni – solo nel 1968, durante un periodo di sette mesi, realizza quasi 350 stampe! Fu anche un periodo in cui guardò indietro ai vecchi maestri. Era particolarmente interessato a Rembrandt, il celebre pittore e incisore olandese del XVII secolo: Picasso aveva studiato le sue incisioni e aveva persino proiettato diapositive dei suoi dipinti sul muro del suo studio.
Nelle incisioni di Picasso, le scene diventano sempre più vivaci e articolate. L’abile distribuzione degli strati di pennellate, in tutte le sfumature tra il chiaro e lo scuro, risponde consapevolmente ai colori sgargianti. Un pandemonio dei sensi emerge come una produzione teatrale, rivelando le più diverse intuizioni. La linea angusta e spesso bizzarra, così come il tema della mascherata, ricorda la visione di Ensor dell’Ingresso di Cristo.
Dopo Rembrandt: Ecce Homo, 1971
In After Rembrandt: Ecce Homo, 1971, qualcosa come una visione ampia e generalmente comprensibile. Nessuna discesa agli inferi o ascesa al cielo, ma piuttosto l’immagine conclusiva di una fiaba orientale: la famiglia dell’uomo in piena luce su un palcoscenico aperto. I sentimenti di perfezione e di familiarità che emana sono quasi incomprensibili. Tutto intorno, di fronte alla foresta del monte Olimpo e tra il paesaggio, il trambusto colorato e la folla curiosa, l’ispirazione abbonda. Nessun’altra rappresentazione negli ultimi anni di Picasso ha saputo unificare la condizione umana della sua arte in modo più libero ed entusiasta. La firma del nostro secolo non avrebbe potuto trovare un deposito più appropriato che qui.
Negli ultimi anni della sua vita, la pittura divenne un’ossessione per Picasso, ed egli avrebbe datato ogni quadro con assoluta precisione, creando così una vasta quantità di dipinti simili – come se tentasse di cristallizzare singoli momenti del tempo, ma sapendo che, alla fine, tutto sarebbe stato vano.
Il luogo di sepoltura di Pablo Picasso
Pablo Picasso è morto finalmente l’8 aprile 1973, all’età di 92 anni. Fu sepolto nel terreno di un castello che comprò per capriccio nel 1958 nel villaggio di Vauvenargues, nel sud della Francia.